Cos’è il Metaverso e perché se ne parla tanto.
Per carità, non chiamatelo Facebook: siamo nell’era del Metaverso
Era il 2004 quando un ragazzo di 20 anni allora pressoché sconosciuto fondò dal nulla, nel campus di Harvard, una delle compagnie oggi più importanti al mondo: Facebook, destinata a rimanere l’unica reale impresa realizzata da Zuckerberg da cima a fondo.
Da lì in poi, infatti, la società – oggi Meta – si è focalizzata sull’acquisto di ciò che sarebbe molto più lungo e costoso sviluppare e, soprattutto, posizionare.
Nella galassia del gruppo, dopo la fondazione di Facebook Messenger del 2011, arriva Instagram nel 2012, mentre nel 2014 l’azienda incamera Whatsapp.
Un modello di business che funziona: Mark Zuckerberg non vede arrivare i fenomeni della società delle immagini e della messaggistica istantanea – o comunque non in tempo per firmare un’applicazione tutta sua – e guarda al mercato.
Un’attitudine che il magnate sembra aver traslato anche nell’ultima delle sue grandi uscite: il Metaverso.
Il termine fu coniato per la prima volta dallo scrittore di fantascienza Neal Stephenson nel suo romanzo del 1992 Snow Crash.
Nell’autunno del 2021, Zuckerberg ha annunciato il cambio del nome dell’azienda in Meta e si è detto pronto a giurare che “il metaverso raggiungerà un miliardo di persone in un decennio, creando milioni di posti di lavoro”.
Indice
Il Metaverso di Stephenson e Second Life
Nel suo romanzo dei primi anni Novanta, Stephenson descrive il Metaverso come una sorta di realtà virtuale condivisa attraverso la rete internet, in cui le persone trovano rappresentazione in un avatar.
Fisicamente, il Metaverso si presenta come una sfera nera di 65.536 km di circonferenza, tagliato in due all’altezza dell’Equatore da una strada percorribile anche su monorotaia con 256 stazioni, ciascuna a 256 km di distanza dall’altra. Sulla sfera ognuno può realizzare in 3D ciò che desidera: abitazioni, negozi, aziende, uffici, luoghi di divertimento e tutto quanto l’immaginazione umana sia in grado di partorire.
L’esempio reale più vicino a quanto descritto dall’autore di fantascienza è probabilmente Second Life, sul quale proprio all’inizio di quest’anno lo storico fondatore Philip Rosedale – fuori da Second Life dal 2008 – è tornato a investire.
“Nessuno si è avvicinato alla costruzione di un mondo virtuale come Second Life – ha dichiarato Rosedale in un comunicato stampa – I Big Tech offrendo visori di realtà virtuale e costruendo un Metaverso sulle loro piattaforme commerciali basate sulla pubblicità non creeranno un’unica utopia digitale magica per tutti. i mondi virtuali non devono necessariamente essere distopie”. E forse ha ragione.
Il Metaverso di Zuckerberg
Il Metaverso immaginato da Mark Zuckerberg esiste già: il brand Meta campeggia su tutte le App di (ex) casa Facebook, che trovano il loro avamposto digitale in meta.com che al momento è ancora un redirect ad about.facebook.com su cui si legge: “Il metaverso è la prossima evoluzione della connessione social. La nostra visione è di portare il Metaverso alla vita, così abbiamo cambiato il nostro nome per riflettere il nostro impegno verso questo tipo di futuro”.
Fuffa markettara o poco più, che tradotta significa che l’imprenditore con felpa e zainetto sta disegnando nella sua mente un mondo di infinite comunità virtuali interconnesse in cui le persone possano fare tutto ciò che fanno nella vita di tutti i giorni: conoscersi: comunicare, lavorare, giocare, fare shopping o divertirsi utilizzando visori per Realtà Virtuale, occhiali per la Realtà Aumentata e app dislocate su tutti i dispositivi possibili. In sostanza, la vita reale sembra destinata a sovrapporsi in modo indistinguibile e totale con la realtà virtuale, sino a consentirci di partire per le vacanze senza muoverci dal divano di casa.
Il Metaverso in pratica
Quando si parla di Metaverso, il primo collegamento che a oggi salta per primo alla mente è il gaming (del resto Roblox e Sandbox hanno fatto scuola in questo senso).
Ma sul Metaverso di Zuckerberg potremo anche fruire di opere d’arte (NFT dice nulla?), così come rinvigorire lo spirito con ciò che la moda, l’estetica, la bellezza e, in generale, la creatività sapranno proporre.
Il Metaverso potrebbe aprire spazi inesplorati per alcuni settori dell’economia, in primis per quelli che con la pandemia hanno vissuto un brutto quarto d’ora durato un paio d’anni come il turismo.
Si parla già di synth travel, letteralmente turismo sintetico, terra promessa di viaggi digitali ma assolutamente – giurano – non finti.
Visto che la vita però non è solo divertimento, sul Metaverso si potrà anche lavorare. A dirla tutta, è già possibile: Meta ha creato le Horizon Workrooms, accessibili con gli Oculus Quest 2, i visori di Realtà Virtuale di Facebook.
Si tratta di un metodo per permettere ai team di comunicare a distanza e in modo collaborativo grazie alla tecnologia, con una scrivania personale, un avatar, sale riunioni digitali e lavagne virtuali.
Detta così, dopo due anni di smart working massiccio, niente di troppo nuovo. Staremo a vedere.
I lati oscuri del Metaverso
Tra voci entusiastiche e apocalittiche Cassandre, è innegabile che il Metaverso ponga molti punti di domanda legittimi e per molti (meta)versi preoccupanti.
C’è tanto, tantissimo, ancora da capire, imparare, scoprire, definire.
Senza addentrarsi in un trattato sui pericoli di qualcosa che di fatto ancora non esiste, è impossibile non pensare ai rischi di cyber abusi, in cui i carnefici – un po’ come oggi con i profili fake – si sentono protetti dallo scudo dell’avatar e dell’autonomia, a meno che gli avatar del Metaverso non siano dotati di personalità legale, ma come?
Se il web e il social hanno già ampiamente dimostrato quanto possano essere brutti e cattivi, non è arduo ipotizzare che un’esperienza immersiva come il Metaverso possa solo amplificare i mali del digitale, a partire dalla disconnessione con la realtà per connettersi con una Metarealtà priva di leggi e confini, un potenziale Paese dei Balocchi da cui, alla stregua di Pinocchio, potremmo non voler più uscire. Tanto più se il Metaverso permetterà alle persone di diventare ciò che nella vita non sono mai potute essere: imprenditori, VIP, bellezze al bagno che hanno finalmente trovato il loro posto al sole.
Rispetto a ciò che sappiamo ora – molto poco – le prospettive di una rivoluzione del modo di interagire, socializzare, lavorare e divertirsi attraverso la tecnologia si fanno sempre più concrete. Tuttavia, come accade quando un’innovazione epocale è alle porte, all’orizzonte si stagliano nuove possibilità, anche per il lato più oscuro dell’essere umano.
Come in tutte le cose, dipende da noi. Sarebbe un peccato perdersi quanto di bello e arricchente potrà esserci nel Metaverso, ma sarebbe altrettanto un peccato infilarsi scientemente in un mondo virtuale addirittura più oscuro di quello reale.
Starà a Zuckerberg, alle aziende e, infine, a tutti noi, l’assunzione di responsabilità collettiva per un utilizzo etico del Metaverso. Questo, perlomeno, per chi ha conserva della fiducia nella capacità di autodeterminazione degli esseri umani.
Leggi l’articolo su “Quale Impresa”, la rivista nazionale dei Giovani Imprenditori